L’approvazione dell’AI Act da parte dell’Unione Europea segna un passaggio decisivo nella regolamentazione delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Dopo anni di discussioni, consultazioni e revisioni tecniche, il legislatore ha definito un quadro normativo che mira a bilanciare innovazione e tutela dei diritti fondamentali. Il risultato è una legislazione complessa, pensata per classificare i sistemi di intelligenza artificiale in base al rischio e per regolamentarne l’utilizzo in modo proporzionato.
L’entrata in vigore ufficiale è datata 1° agosto 2024, ma all’atto pratico è dal 2025 che cominceranno a essere messe in atto le prime applicazioni dell’AI Act, ma si stima che la fase di transizione dei processi finirà nel 2028.
Le implicazioni di questo intervento normativo sono profonde. Per la prima volta, l’Europa identifica in modo esplicito quali comportamenti dell’AI costituiscono una minaccia per la sicurezza, la privacy o la dignità delle persone, stabilendo limiti precisi su ciò che queste tecnologie potranno o non potranno più fare. Il settore dovrà adeguarsi attraverso interventi tecnici concreti, dalla revisione dei dataset all’implementazione di controlli più rigorosi sulla governance del modello, fino alla piena tracciabilità delle decisioni automatizzate.
Tecniche di manipolazione e sfruttamento delle vulnerabilità
Tra le pratiche vietate dall’AI Act rientrano i sistemi progettati per manipolare in modo subliminale o per sfruttare vulnerabilità cognitive, emotive o fisiche delle persone. Questo divieto non è generico, ma poggia su un’analisi tecnica del funzionamento dei modelli. I sistemi capaci di inferire caratteristiche psicologiche, orientare decisioni senza consenso informato o individuare fragilità comportamentali saranno considerati ad alto rischio o direttamente proibiti. L’obiettivo è impedire che l’AI venga utilizzata per influenzare individui ignari, soprattutto in contesti commerciali o politici, dove la capacità predittiva dei modelli potrebbe essere sfruttata per alterare il comportamento umano.
Sorveglianza biometrica e riconoscimento in tempo reale
Il regolamento interviene in modo netto sulla sorveglianza biometrica. L’uso di sistemi di riconoscimento facciale in tempo reale negli spazi pubblici viene fortemente limitato e, in molti casi, vietato. Dal punto di vista tecnico, tali sistemi richiedono una pipeline complessa che include acquisizione video continua, estrazione di feature biometriche, confronto con database e generazione di identificazioni in pochi millisecondi. L’AI Act considera questo processo incompatibile con i principi di proporzionalità e minimizzazione dei dati, poiché comporta un tracciamento sistematico e potenzialmente indiscriminato della popolazione. Le eccezioni previste sono rigidamente circoscritte e comportano requisiti tecnici severi, come auditing continuo, logging crittografato e verifiche indipendenti.
Social scoring e profilazione sistematica
Il regolamento vieta ogni forma di social scoring simile a quella sperimentata in alcuni Paesi extraeuropei. Dal punto di vista tecnologico, i sistemi di social scoring combinano dati provenienti da molteplici fonti, generando profili che possono influire sull’accesso a servizi, opportunità e diritti. L’AI Act giudica questo approccio incompatibile con i valori democratici, poiché attribuisce alle macchine un potere decisionale sproporzionato basato su dati spesso opachi o inaccurati. Le aziende dovranno eliminare qualsiasi architettura di scoring che utilizzi informazioni personali non direttamente correlate allo specifico servizio erogato.
Analisi predittiva applicata al comportamento individuale
Un altro aspetto centrale riguarda i sistemi di predizione comportamentale che tentano di anticipare la probabilità che un individuo commetta un reato, mostri determinati comportamenti o prenda specifiche decisioni. Il regolamento distingue chiaramente tra modelli statistici aggregati, validi per il monitoraggio di fenomeni globali, e modelli predittivi puntuali destinati a valutare un singolo individuo. Questi ultimi sono proibiti perché si basano su correlazioni spesso decontestualizzate, dataset sbilanciati e assenza di una spiegabilità verificabile. La tecnologia non è ritenuta affidabile per generare valutazioni con ricadute dirette sulla vita delle persone.
Trasparenza, tracciabilità e governance dei modelli
Al di là dei divieti espliciti, l’AI Act introduce l’obbligo di un controllo più rigoroso sui sistemi di AI ad alto rischio. Ciò comporta l’adozione di una governance strutturata dei modelli, con documentazione formale del ciclo di vita, tracciabilità delle decisioni e monitoraggio continuo delle performance. Dal punto di vista tecnico, le organizzazioni dovranno implementare log dettagliati, sistemi di versioning dei modelli, strumenti di explainability e protocolli di sicurezza per garantire che i sistemi si comportino in modo prevedibile e verificabile. L’intelligenza artificiale dovrà diventare un componente trasparente e misurabile dell’infrastruttura tecnologica.
Implicazioni per l’ecosistema tecnologico europeo
L’AI Act non si limita a imporre divieti, ma orienta lo sviluppo tecnologico verso un modello più sicuro e responsabile. Le aziende dovranno investire in processi di mitigazione del rischio, auditing indipendenti e architetture progettate per rispettare gli standard europei. Questo porterà a una trasformazione significativa nel design dei sistemi, verso modelli più robusti, interpretabili e costruiti su basi etiche verificabili. La regolamentazione potrebbe rallentare alcune implementazioni, ma crea le condizioni per un’evoluzione più sostenibile dell’intelligenza artificiale, rafforzando la fiducia degli utenti e delle istituzioni.
In questo senso la formazione aziendale assume un ruolo fondamentale nella comprensione delle nuove norme dell’AI Act, in maniera tale da utilizzare queste nuove e potenti tecnologie nel rispetto delle norme, e soprattutto delle persone. Se vuoi approfondire l’argomento e comprendere come l’e-learning possa essere la soluzione per la tua azienda, contattaci.


